Fin dai tempi più antichi occuparsi di curare i denti non veniva considerato un vero e proprio mestiere, nel medio-evo addirittura era più semplice trovare un barbiere che vi mettesse le mani in bocca, piuttosto che un medico dal lungo camice, per incidervi un ascesso. Invece oggi fin dal primo giorno di università gli studenti di medicina sanno che dovranno conseguire una specializzazione in odontoiatria per poter esercitare la professione come dentista. Da moltissimo tempo questi cambiamenti di rotta vengo quasi viste come delle vere e proprie piccole rivoluzioni in questa professione. Una delle più significative di queste rivoluzioni è rappresentata, a nostro parere, dalla prevalenza d’interesse che gira intorno all’implantologia.
Prima si cura, al massimo si toglie
Una frase che si sente dire dalla maggior parte dei dentisti è :”Cerchiamo prima di curarlo, poi al massimo lo si toglie”. Dire che il soggetto della frase fosse uno dei nostri denti stato recentemente colpito dalla carie, è inutile. La terapia conservativa del dente in effetti tende proprio nella ricerca di salvarlo per possibile che sia, ma se necessariamente l’otturazione, proporzionalmente fosse più grande dello stesso dente, allora tanto vale non estrarlo subito? E dopo? Una volta estratto il dente? Dopo che il dente viene estratto, l’alveolo cioè il buco che si trova al posto del nostro dente si cicatrizzerà permettendoci così di poter mangiare di nuovo, ma all’osso che succede?
Un’inarrestabile processo
L’osso, nello specifico quello mascellare, cioè quello che serve a tenere su l’arcata dentaria superiore, una volta che le radici dentarie non ci sono più e in conseguenza anche dell’invecchiamento naturale, inizierà a ritirarsi, così che giorno dopo giorno ridurrà il proprio spessore. In quel lasso di tempo altri denti purtroppo si ammaleranno o si romperanno e perciò dovranno essere estratti. In questi casi, in termini specifici, si dice che il paziente soffre di edentulia, rendendo necessario il rimpiazzo dei denti mancanti.
Scheletrati e dentiere
Quando questo si verificava, negli anni passati, il nostro dentista ci prendeva un calco dentale commissionando all’odontotecnico i ponti, oggi un po’ più noti come scheletrati che servivano a sostituire due o più denti, compresi tra due denti sani, quelli mancanti. Nei casi un po’ più gravi si procedeva con la rimozione degli ultimi denti traballanti e si doveva convincere il paziente che per tutto il resto della sua vita doveva portare una dentiera mobile, quelle da dover mettere al mattino e togliere alla sera prima di andare a coricarsi.
L’implantologia
Negli anni ’80 fu il fisico svedese P.I. Branemark che decise di pubblicare i suoi studi durati 20 anni sulla ricerca dell’osteintegrazione, ovvero di come, se inseriti opportunamente dei perni in titanio di grado chirurgico, essendo in grado di ancorarsi perfettamente all’osso della mascella(sempre che ce ne sia) essi siano abbastanza stabili per riuscire ad avvitarci una protesi di tipo fisso. Nei centri specializzati oggi l’implantologia non assiste solo alle ricostruzioni dentarie utilizzando impianti di titanio con una lunghezza classica, ma assiste anche a ricostruzioni dentarie nelle bocche di pazienti che presentano una grave atrofia, niente meno che la mancanza dell’osso mascellare, adottando impianti più lunghi del normale che vengono fissati, dall’interno, all’osso zigomatico.